“Voglio un figlio!”
Sin da quando questo pensiero compare nella forma del desiderio, può dare inizio a un percorso non necessariamente semplice. Per alcuni avere un figlio può essere la cosa più faticosa che mai ci si sarebbe immaginati.
La maternità e la paternità nella vita delle persone possono rappresentare sia il periodo più leggero e bello della propria esistenza, così come può diventare un periodo stressante e faticoso al punto da minare le basi dell’identità individuale e di coppia, con una serie di conseguenze psicologiche. Si parla delle maternità (e paternità) difficili.
Le maternità difficili iniziano ancor prima che la gravidanza abbia origine. Le maternità difficili possono iniziare nella testa delle donne e degli uomini, quando il figlio non arriva. In quel caso il desiderio si trasforma in rimuginio e spesso le persone si definiscono “ossessionate” dall’idea di avere un figlio. Sono quelle che si ritrovano nei corridoi dei centri di procreazione assistita e si vergognano, se non riescono a gioire per la gravidanza di qualcuno a loro caro o se trovano intollerabile stare a fianco di un pancione o sentirsi fare la fatidica domanda “ma allora un figlio quando lo fate?”. Sono le persone che spesso soffrono in solitudine, finchè non capiscono che la loro sofferenza – e il loro modo di viverla- è condivisa da altri essere umani come loro e ci possono essere modi diversi per affrontarla. Sono le stesse persone che quando smettono di identificarsi con il loro apparato riproduttivo, scoprono che la vita è bella comunque e a volte iniziano a trovare un lieto fine.
Poi ci sono le maternità difficili che iniziano con la gravidanza. Sono quelle che iniziano per caso, magari in un momento di vita in cui quella “era l’ultima cosa che doveva accadere”. Sono quelle che vengono interrotte con un dolore silenzioso. Oppure che proseguono con il dubbio e con la paura, generando stati d’ansia e gravidanze difficili. Ci sono quelle avviate dopo interventi di fecondazione assistita che spesso si accompagnano a stati d’ansia e paura di non riuscire ad arrivare a termine o di non essere un bravo genitore.
Durante la gravidanza si possono sviluppare disturbi d’ansia, spesso predittori di un disturbo post partum, e condizionare l’esperienza del parto.
Ci sono le gravidanze desiderate e avviate che per un motivo o per l’altro si interrompono. Più il bambino prende forma non solo nella pancia, ma anche nella testa dei genitori, più l’elaborazione diventa complessa. Se gli aborti spontanei nei primi mesi di gravidanza sono contemplati, le anomalie che possono essere scoperte nei mesi successivi e portare o a un aborto terapeutico (entro i sei mesi) o alla morte del feto stesso negli ultimi mesi (o nei momenti immediatamente successivi alla nascita), sono eventi imprevedibili cui possono far seguito cadute depressive.
Ci sono maternità difficili perché difficile è il parto. Negli ultimi anni le ricerche si sono concentrate sul disturbo post traumatico da stress che può insorgere proprio in seguito al parto. Sono stati identificati dei fattori predittivi che per certi versi si sovrappongono a quelli della depressione post partum, tra cui le complicanze insorte durante il parto sia per la madre che per il bambino, lo scarso supporto sociale, traumi precedenti relativi alla sfera sessuale, una storia di vulnerabilità personale intrecciata alla presenza di un contesto di vita difficile. Spesso il PTSD legato al parto si confonde con la depressione specie se non viene diagnosticato per tempo. Le conseguenze per i disturbi della gravidanza e del post partum riguardano non solo lo stato psichico della madre, ma la relazione madre-bambino e il benessere del sistema famiglia/coppia. Vari studi confermano che madri depresse (o traumatizzate) sono meno responsive ai bisogni del bambino, che in assenza di un caregiver adeguato svilupperà uno stile di attaccamento insicuro o disorganizzato rendendosi più vulnerabile ai funzionamenti psicopatologici.
Insieme alle maternità difficili, ci sono le paternità difficili. Un disturbo ancora poco riconosciuto è la depressione paterna. Mentre la madre ha i mesi di gestazione per abituarsi e prepararsi a ciò che succederà dopo, un padre diventa tale quando si ritroverà davanti il bambino. Il nuovo ruolo, l’adattamento anche fisico ai nuovi ritmi, la mancanza di aiuto dalla fisiologia (la donna in un certo senso gode dei benefici dell’ossitocina soprattutto se decide di allattare), il cambiamento nella vita di coppia, ecc. possono destabilizzare il neo-padre e generare degli stati depressivi, insoddisfazione e senso di indegnità. Questo non solo si ripercuote nella relazione con il proprio figlio, ma anche nella relazione di coppia ma anche nella costruzione della stabilità della famiglia.
Valutare, prevenire e curare quelle che sono state definite le maternità (e paternità) difficili appare dunque un modo per permettere agli individui, alla coppia e alla famiglia un funzionamento adeguato e la possibilità di affrontare questa esperienza di vita per quello che è.